La canapa

Pare che questa pianta sia stata introdotta in Europa nel VII secolo a.C. ad opera degli Sciti, popolazione nomade, che la portarono nel sud della Russia da dove si propagò nelle zone europee, soprattutto in quelle centro settentrionali. Sempre gli Sciti portarono, attraverso l’Asia minore e la Grecia, la canapa in Italia e in Francia. La diffusione della pianta tessile assunse importanza soltanto a partire dal 1500. In questo periodo la canapa si propagò anche nell’America del sud e, più tardi, in quella del nord. Esistono due tipi di piante: quella maschile, piccola e sottile e quella femminile, più robusta, la cui altezza può variare da 1 a 5 m secondo le condizioni climatiche della regione di coltura. La canapa fu coltivata a Premana fin verso gli anni trenta del secolo scorso. Essa, con lana e pelle, rappresentava la materia prima per la confezione di abiti, biancheria e tutto il necessario per la casa. Le donne erano costantemente impegnate, nel tempo d'inverno, con la filatura della canapa che raccoglievano nei loro campi. La canapa veniva seminata ai primi di aprile,il giorno di S.marco su terreno piano (piaz) lavorato e soffice, nei dintorni delle case. Il raccolto avveniva in agosto quando i semi erano giunti a maturazione. Le piantine si strappavano con tutte le radici, poi si legavano in piccoli mazzetti che si lasciavano a inaqua stendendoli in qualche piccolo prato. I mazzetti, slegati, rimanevano esposti per circa 40 giorni al sole e alla pioggia; l’acqua e il calore facevano fermentare e marcire le parti legnose che liberavano la fibra. La macerazione poteva avvenire anche per immersione delle piante in un pozzo o in una fossa appositamente scavata dove rimanevano per una quarantina di giorni. Per quasi due mesi, l'alternarsi di bello e brutto tempo, faceva macerare la parte legnosa dei fusti, facilitando il recupero dei lunghi filamenti che costituivano la fibra tessile grezza. Dopo la macerazione la canapa veniva messa ad essiccare nei solai o sui balconi asciutti e ben esposti al sole e in seguito era sottoposta a diverse operazioni. Quando era ben secca, veniva stesa nel cortile o sulla strada, comunque su un pavimento acciottolato che faceva da contraccolpo, era battuta con il per spezzare la parte legnosa con la vèrghe, il correggiato. Per eliminare le scorie e per rendere le fibre trattabili per la filatura, i mazzetti venivano prima passati in una gramola, frantoi , costituita da un cavalletto dotato di una leva di legno che si batteva sui mazzi e poi, rendere più morbida la canapa, trattati con la spadólèr, con cui si batteva e si lisciava il fascetto, ormai ridotto in fibre che venivano legate in trecce e riposte in ceste. L'ultima operazione prima della filatura era la pettinatura, per la quale erano utilizzati gli spinâsc, delle tavolette di legno con una fitta losanga di chiodi che veniva tenuta ferma impugnandone un lato con una mano e infilando un piede nell'apposita apertura sul lato opposto. Questo trattamento permetteva inoltre, di separare le fibre lunghe, che restavano in mano, quelle corte che rimanevano nell'attrezzo stesso, la stope. Le matasse così ricavate venivano attorcigliate a treccia. A questo punto la canapa era pronta per la filatura. Quindi venivano filate con una roche (rocca) e füs (fuso) o con il filarél (filatoio orizzontale o verticale) . A questo punto il filato era cotto a lungo con la cenere e disteso al sole ad asciugare; dopo questo procedimento il filo prendeva il caratteristico color bianco e diventava assai più chiara e più morbida, pronta quindi per la tessitura. Lavate ed asciugate, le matasse erano ridotte con la badèrle (l'arcolaio) in gomitoli pronti per essere portati al telaio. Ma prima di passare al telaio occorreva preparare l'ordito, ol ordì, cioè la stesura dei fili intrecciati sul telaio in senso verticale. Per questa operazione era necessario l'orditòor, l'orditoio, un strumento che permetteva di preparare l'ordito. Preparato l'ordito, questo era sottoposto all'operazione chiamata imbosmà, che consisteva nel passarci sopra una particolare pasta di crusca e sugna di maiale, la bozzima, che rendeva i fili più elastici e resistenti. A questo punto si procedeva a ol trâ ént con la spoleta, cioè al completamento del tessuto con fili orizzontali. Dalla tessitura al telaio, curato all'interno dei nuclei familiare, si otteneva una tela che era larga circa 60 centimetri e lunga fino a 40 metri (pezze). Con la canapa come ordì e la lana come ol tra dent si tesseva il mézzalan, un tessuto robusto usato per il vestidél, per i calzoni e per le coperte. La tela, lavata e sbiancata ed esposta al sole per parecchi giorni, era anche adatta per confezionare lenzuola, biancheria e tessuti per la casa. Per la tintura, soprattutto del mézzalan, la stoffa era portata al terciorii, che si trovava prima a Margno e poi a Introbio.